Recensione: La vita a volte capita - Lorenzo Marone
Buongiorno lettori!
Torno su questi schermi dopo una settimanella bella intensa ma soprattuto piena zeppa di letture! Ebbene si, ho una gran voglia di leggere! Sia lode agli dei delle rotative!!! Anzi devo recuperare almeno un paio di recensioni e lo farò non in ordine di lettura ma in ordine di voglia di scrivere (non me ne voglia l'editore che tanto è lo stesso e non me ne vogliano gli autori, tranquilli qui c'è spazio e caffè per tutti!). Allora iniziamo con la recensione di uno dei libri più attesi di questo autunno. Squillino le trombe, rullino i tamburi (insomma facciamo un po' di casino), dopo 10 anni torna Cesare Annunziata, protagonista di La tentazione di essere felici, in La vita a volte capita, ovviamente di Lorenzo Marone. Ora, mettetevi comodi che intanto metto su la pentola per lessare le patate e mentre aspettiamo chiacchieriamo un po' di questo bel libro.
A volte basta un'altalena arrugginita, basta avere il coraggio di coltivare la memoria e di non arrendersi. Di continuare a credere nei miracoli, intestardirsi a cercare qualcosa di nuovo, aver voglia di imparare ancora. La vita è un'ubriacatura, una lunga trasformazione. La vita semplicemente a volte capita, e non bisogna farsela scappare.
Oh Santo Cielo! Ogni volta la stessa storia! Che scrivo mo???? Questa cosa deve finire dott. Marone. Questa e il consumo di segnapagina...
Vabbè, raccapezziamoci!
Partiamo con un piccolo recap. Dove eravamo rimasti? Eravamo rimasti con me che con Cesare ci avrei preso volentieri un caffè e con Erri (protagonista di La tristezza ha il sonno leggero) sarei volentieri convolata a nozze. Ora, Erri qui non si è visto e quindi mi sa che 'sto matrimonio non s'ha da fare ma io il caffè a Cesare lo offro sempre volentieri, anche dopo questa lettura corsa in pochi giorni, tra cagnoloni desiderosi di grattini e dallo sguardo giudicante, influencer esagitate che svelano il mistero della Golden hour, ulivi depressi che vanno portati a spasso e gatti maniaci sessuali. Non mi aspettavo di trovare questo Cesare, un Cesare diverso dal primo libro, un po' più vecchio ( anche se a lui di vecchiaia meglio non parlare), un po' più stanco e anche un po' più solo. Cesare non è più quell'orso chiuso in sé che attraversa la strada pur di non avere a che fare con gli altri, anzi. Sente il bisogno di iniziare ad intrufolarsi nel mondo altrui, soprattutto se si tratta del genere femminile e se nei loro occhi vede un dolore tutto nuovo e oscuro, da cercare di capire ma soprattutto da cercar di aggiustare. Questo è diventato Cesare, un aggiusta animi. Se con Emma, che qua e là ritorna alla memoria dell'ex ragioniere, ci aveva provato senza riuscire, con Iris questa volta si incaponisce e, Batman al seguito (non il super eroe eh, ma il super cagnolone amante dei grattini), cerca in tutti i modi di salvare la ragazza incontrata ai giardinetti in un giorno di pianto. Ci riuscirà? Uhm, non ve lo dico.
In un agosto lungo, umido e caldo e in una Napoli svuotata dai suoi abitanti, Cesare si aggira per le strade che trasudano afa, in perenne attesa di qualcosa, dell'estate che passi, di Sveva, la figlia rigida e tutta d'un pezzo, che torni dalle ferie, del nipote Federico che si venga a riprendere Batman, di Eleonora che si decida a rimettere in libertà i suoi settordici gatti, di Marino che cambi finalmente gioco a scacchi. Attende Cesare, aspetta che torni settembre e con lui una nuova stagione e nell'attesa ripensa alle stagioni passate, alle donne che ha avuto, ai figli che chiedevano le sue attenzioni date col contagocce, alla moglie tanto amata e tanto detestata, e all'altra Emma tanto amata e tanto sospirata. Pensa Cesare, all'uomo che c'era e non ci sarà più, alla Napoli che odia ma che alla fine ama, alla sua vita passata a sentirsi come un animale raro in gabbia e che ora, in quella gabbia fatta di sicurezze ma anche di cose troppo presto date per scontate, vorrebbe tornarci. C'è in lui un senso di rabbia sordo e duro, per non aver amato abbastanza Caterina, per averla giudicata fino alla fine, per non essere stato abbastanza padre per Sveva e Dante e per volerlo forse essere ora troppo per Iris, per non essere stato dall'altra parte del muro per Eleonora, per aver ferito Marino. Una fitta al cuore dietro l'altra, con quel reflusso che fa i capricci, Cesare torna da noi, scuotendo la testa per la generazione che siamo, tutta corsa e telefonini, e ci invita a guardarci intorno. È vero, il parco è sporco e maleodorante, le strade umidicce e pericolose, ma se guardiamo bene, se ci concentriamo bene, ci vediamo anche tutto il bello: un salumiere che preoccupato ci riaccompagna a casa, una ragazzina che si preoccupa per noi se non ci vede per qualche giorno, un ballo folle scalciando le pantofole nel soggiorno di Marino, la carezza all'ultimo minuto della vicina di casa.
Ancora una volta Lorenzo Marone ha fatto la sua magia, lasciandomi senza segnapagina e con gli occhi un po' lucidi. L'ho detto fin dall'inizio, Cesare non è il mio personaggio del cuore tra i suoi protagonisti ma anche questa volta nel mio cuore ci si è intrufolato anche lui suonando il citofono e gridando "sono io!". In questo libro ho trovato un mix di solitudine e di rabbia, di paura e dolore, di adolescenza e vecchiaia. Ma anche di personaggi che, ognuno a modo loro, ti restano lì, in cima ad una ciglia sotto forma di lacrimona.
Io come finisce non ve lo dico, eppure le ultime pagine sono quanto mai vivide negli occhi del lettore, che gira pagina e si vede attorniato di tutti i personaggi, sente Batman abbaiare nell'altra stanza, il Biondo e Carciofina azzuffarsi in fondo alla strada, vede Marino con le braccia appoggiate ai braccioli pensare alla stessa mossa a scacchi degli ultimi 10 anni. Ma alla fine, dopo aver girato l'ultima pagina, vedi anche lui, Cesare, appoggiato all'ombrello farti un cenno, un saluto, un cuore chiuso tra le dita e avviarsi a vivere ancora, finché gli sarà concesso. Lo rivedremo?
La mia vita è stata un'aspettativa perenne, anche oggi, che di anni me ne restano pochi, sto qui a sperare che passi agosto. Poi troverò un modo per desiderare che trascorra in fretta anche Natale, e così via, fino alla fine. Sospeso, senza saper volare, impreparato a cadere, in perenne ricerca di un equilibrio, questo sono stato.Ma tutto può essere visto in un senso o nell'altro, nel bene e nel male, perchè il non sentirmi mai appagato mi ha permesso di continuare a coltivare la curiosità, quante zucche vuote ho sentito invece vantarsi di esserlo, appagate, e per questo non aspirare più a nulla. Che irrefrenabile spreco alcune esistenze. C'è invece da essere incontentabili in vita, grati ma incontentabili.
Alla prossima
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