[Leviamocelo dai Coconi] Recensione: Il filo avvelenato - Laura Purcell
Buongiorno lettori!
E buon 1 marzo!! Cambiato qualcosa rispetto al 28 febbraio? No manco a me.
Oggi torno su questo schermo per parlarvi di Il filo avvelenato di Laura Purcell, uno dei miei recuperi di lettura tra i romanzi che da tempo erano in attesa di essere letti e che mi sono ripromessa di leggere in questo 2023. Questa volta ho avuto anche l'aiutino del trio Bacci, Loredana, Lallì (un po' alla Morandi, Ruggeri, Tozzi di "Si può dare di più"), che tra 3 opzioni hanno scelto proprio questo libro (quindi fa parte di una simpatica "rubrichetta" dal nome quanto mai sibillino: Leviamocelo dai cocconi ).
La mia arte svelava la vera me: bellissima e letale.
Se Gli amici silenziosi mi aveva convinta a metà, Il filo avvelenato mi ha dato molto di più. In questo romanzo l'autrice ci mette meno inquietudine (e rumorini strani) ma più sangue (tanto sangue), ricostruendo al contempo il mondo dello sfruttamento delle sartine nell' Ottocento in maniera vivida e reale, ma aggiungendo anche quel pizzico di magia che fa vacillare il lettore. Infatti parte della lettura sarà occupata da un solo pensiero: è verità o follia?
Il romanzo è un misto di due fili narrativi. Per prima conosciamo Dorethea Truelove, signorina bene della buona società di Oakgate. Dotty ha 25 anni e per la disperazione paterna non intende sposare uno dei cicisbei che il padre continua a proporle. Dorothea si è infatti sempre distinta dalle sue più frivole coetanee per la religione cattolica (retaggio della madre defunta) e per la passione per la frenologia che l'ha portata a frequentare il vicino carcere femminile per studiare, attraverso la misurazione dei crani, la predisposizione alle azioni violente. In più il suo cuore è già occupato dall'amore per David, un semplice poliziotto che mai avrebbe l'approvazione del padre.
Ma il filone più interessante è senza dubbio quello di Ruth Butterham, una ragazzina accusata di omicidio. Di lei ripercorriamo la storia dall'infanzia povera con i genitori, al lavoro come sarta presso il negozio di Mrs Metyard. È qui che vedremo le scene più dure e disturbanti, fatte di dolore e sangue, di doppie personalità e sevizie.
Le due protagoniste ci appaiono fin dall'inizio, e per ovvie ragioni, molto diverse, dando anche al romanzo un peso diverso a seconda della protagonista del capitolo che ci troviamo davanti. Se Ruth spezza il cuore e scatena l'angoscia, Dorothea ci appare fin troppo frivola e superficiale, più concentrata su se stessa che su quello che ha intorno. Ruth sembra essere una sofferenza infinita, come se in tutta la sua vita non abbia mai avuto un vero momento di felicità. Tutto intorno a lei è lutto e sopruso, inganno e privazioni. Il suo finale è fin troppo scontato, sai che non ci saranno molte possibilità, eppure sai anche che è l'unico modo per lei di essere finalmente libera.
Con Dorothea invece la questione è più complicata. Perché leggi il 99% del libro e pensi a lei come a una piccola (insomma si fa per dire) viziatela che non sa cosa veramente voglia dire vivere al di fuori della casa del padre, che si lamenta per la volgarità della futura matrigna, di questo e di quello ma che non pare rendersi conto dei suoi privilegi. Poi però c'è quell'ultima pagina finale che te la fa rivalutare. In meglio? In peggio? Beh questo sta alla vostra interpretazione di quel finale, che sconvolge il lettore, lo lascia basito e pronto alle mille idee su cosa sia successo. Insomma, proprio uno di quei finali che ci piacciono un sacco.
Ho iniziato questo libro prendendolo con le pinze, pronta a odiarlo o amarlo, poche vie di mezzo. Invece proprio una via di mezzo c'è stata. Ho amato le sue atmosfere, anche gli aspetti più cruenti. Ho amato Ruth e la sua vita destinata a fallire nella ricerca del proprio posto nel mondo. Ho amato il finale misterioso e magnetico, che ti lascia un po' appeso ma con tante idee in testa. Ho odiato Dorothea e la sua frivolezza, il suo lamentarsi della chiusura della società in cui è nata senza rendersi conto che è la prima a tirare su muri,. Ho odiato il suo passare con leggerezza dal racconto struggente di Ruth alle sue pene d'amore (o qualsiasi cosa sia quel sentimento). Ho odiato le spiegazioni sulla frenologia che mi entravano in un orecchio e uscivano dall'altro senza lasciare niente. E' un romanzo che mi è piaciuto e appassionato ( e per questo sono stata generosa col voto), ma a cui avrei fatto un po' un taglia e cuci per eliminare quei piccoli aspetti che avrei evitato volentieri.
Gran Bretagna, prima metà dell'Ottocento. Dorothea Truelove è giovane, bella e ricca. Ruth Butterham è giovane, ma povera e consumata da un segreto oscuro e terribile. Un segreto che rischia di condurla alla forca. I loro destini si incrociano alla Oakgate Prison, dove Ruth è rinchiusa in attesa di processo per omicidio e dove Dorothea si dedica ad attività caritatevoli; soprattutto, qui la ragazza trova il luogo ideale per mettere alla prova le neonate teorie della frenologia – secondo cui la forma del cranio di una persona spiega i suoi peggiori crimini – che tanto la appassionano. L'incontro con Ruth fa però sorgere in lei nuovi dubbi, che nessuna scienza è in grado di risolvere: è davvero possibile uccidere una persona usando solo ago e filo? La storia che la prigioniera ha da raccontare – una storia di amarezze e tradimenti, di abiti belli da morire – scuoterà la fede di Dorothea nella razionalità e nel potere della redenzione. Per tutti gli amanti della letteratura gotica, un racconto da brivido dedicato al male celato dietro il volto dell'innocenza.
IL FILO AVVELENATO
di Laura Purcell
Mondadori | Oscar Fabula | 414 pagine
ebook €4,99 | cartaceo €20,00
21 settembre 2021 | link Amazon affiliato
Alla prossima
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