Recensione: Non è questo che sognavo da bambina - Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio
Buongiorno lettori!
Venerdì, finalmente venerdì. Che settimana è stata per voi miei cari lettori? La mia è stata un pochino faticosa ma è passata. Non è stata una settimana di grandi letture, anzi ho sempre avuto tra le mani lo stesso libro, questo libro, perchè l'ho letto a piccoli sorsi, senza fretta, perchè non avevo e non volevo avere fretta. Ogni tanto bisogna prendersela con calma e se non posso in altri campi almeno nella lettura mi piace decidere a seconda del momento.
Ma di che libro vi parlerò oggi? Di Non è questo che sognavo da bambina di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio.
Fatemelo di': non è questo che sognavo da bambina.Pensavo che avrei fatto qualcosa di emotional e distruptive, e invece sono finita a dire parole come emotional e distruptive. Mi resta un'unica gioia, lamentarmi. Soffrire rumorosamente. Lamentiamoci tutti insieme mentre ci rotoliamo nel fango e nel prosecco.
Alzi la mano chi tra noi fa di lavoro quello che ha sempre sognato fare.
Ok, se la vostra manina sta sventolando nell'aere allegra e gioviale e state saltellando sulla sedia urlacchiando "Io, io! Scegli me, ama me...", ciao fortunelli e fortunelle, benvenuti nella recensione che vi parlerà di quanto il mondo in realtà sia triste, brutto, cattivo e senza dottor Stranamore. Eh lo so, è uno shock!
Mi spiace rivelarvi che in realtà una percentuale molto alta di persone ha studiato per fare, che ne so, l'archeologa, prendiamo una professione assolutamente casuale non riconducibile a nessuno dei qui presenti, e si è ritrovato a fare... uhm... vediamo... la segretaria. Stessa cosa, con professioni diverse, capita alla protagonista di questo romanzo Ida, che mossa dai nobili sogni creativi voleva fare la sceneggiatrice e invece si ritrova nella tentacolare Milano ad accettare uno stage sottopagato presso un'agenzia di comunicazioni, la Meeto (ma nome mi è parso più infelice). L'impatto con la vita d'ufficio toglie il fiato e fa venire i capelli bianchi a Ida che però ci mette del suo, sottovalutando il reale impatto che il suo lavoro e quello dei suoi colleghi ha sulla società che la circonda. Ida si sente estranea da quel sistema che presto la fagocita e la rende tanto simile ai suoi vicini di scrivania da renderla regina delle macchinazioni e del superlavoro. Cosa ne uscirà fuori? Eh bella domanda.
La storia di Ida oltre ad essere carina e divertente come primo impatto, ha il pregio di fare facilmente identificare il lettore. Io stessa ho trovato diversi punti di contatto con la povera Ida. E mi stavo anche un po' deprimendo nella prima parte del romanzo. Eccoli lì! Messi in fila e spiattellati davanti a tutti in bella vista il fallimento, le fatiche, i pugni di mosche che un po' tutti abbiamo dovuto affrontare. Le difficoltare di entrare in un gruppo già costruito, lo spaesamento di iniziare da zero in un posto in cui le riunioni si chiamano allineamento. Questa spirale quasi di immedesimazione si stava facendo pericolosa, così mi sono fermata, ho fatto un passo indietro urtando lo spigolo del mobile (ahi!!) e ho cercato di riprendere la lettura in un modo più distaccato. Quello che avevo tra le mani era un romanzo divertente, a volte sopra le righe, scritto bene ma con una protagonista il più delle volte troppo lagnosa e poco propositiva, che si abbatte per niente e si lascia trascinare dagli eventi.
È in quel momento, subito dopo il passo indietro, che ho capito cosa mi ricordasse a volte questa lettura. Dove, dooovvvveee (*leggi in maniera teatrale con tanto di pugnetto alzato) avevo letto di una ragazza che fa un lavoro che considera inferiore a quello per cui ha tanto studiato, peggio, un lavoro in cui lei si sente superiore di valori rispetto ai maglioncini azzurri che un gruppo di persone ha selezionato per lei e che ha trovato in un testone del supermercato? In cui suddetta ragazza presto entra a far parte di quel sistema che ha tanto screditato, indossando persino dei bellissimi stivali che la porteranno a Parigi? Lo avete capito?... Il Diavolo veste Prada...
Scusate, sono stanca e questa recensione è uscita fuori più pazzerella del necessario. Vediamo di fare il punto su questa lettura che mi ha intrattenuta, non ho trovato affatto pesante ma che dà meno di quello che promette. Affronta tematiche importanti che forse avrebbero meritato meno frivolezza romance e un approccio più diretto. Insomma, credo siano stati aggiunti troppi fronzoli non necessari per arrivare al punto. Punto, cioè finale, che poi viene mollato un po' là senza una vera e propria chiusa. Il filo narrativo c'è tutto, forse bisognava evitare la via facile per qualcosa di un po' più impegnato.
Neolaureata. Coinquilina. Fuorisede. Precaria. Se dovesse descriversi, Ida lo farebbe così. E da oggi aggiungerebbe alla lista: stagista. Stagista in una grande-e-importante-agenzia-di-comunicazione. Non è quello che sognava da bambina, ma tant’è: dopotutto, non è la prima volta che le cose non vanno nella direzione sperata. Avrebbe voluto vivere ovunque tranne che a Milano, e vive a Milano. Voleva una relazione stabile, ed è stata lasciata. Ha studiato per diventare sceneggiatrice, e invece fa la social media manager. Ogni mattina si trascina verso l’ufficio e, tra meeting, brainstorming e tante altre parole che finiscono in -ing, lì resta fino a sera, impegnata in un lavoro che non riesce a capire che lavoro sia, circondata da colleghi che sono simpatici e brillanti, sì, ma solo tra di loro. Fino al giorno in cui, stanca di una vita che troppo spesso si riduce a essere un pendolo che oscilla tra un file Excel e la prossima sbronza, Ida capisce che, per sopravvivere, deve adattarsi, assomigliare più a loro - i suoi colleghi, il suo capo - e meno a sé stessa. E mentre le ambizioni cambiano e il confine tra giusto e sbagliato si fa inconsistente, rincorrere i suoi sogni diventa un capriccio che non può più concedersi. È ora di crescere: ridimensionare le aspettative e accettare i compromessi. Così, quando le arriva la notizia di un concorso a cui candidare il suo cortometraggio, Ida non sa che fare. Quasi non ricorda più cosa sognasse da bambina, chi volesse diventare. Ma non si può mai mentire del tutto a sé stessi. Almeno, non a quello che c’è in fondo alla propria anima. Nel loro esordio, Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio raccontano con leggerezza e autenticità che cosa significa diventare adulti oggi. Dentro ci sono i fallimenti, le paure e le ambiguità di un momento di passaggio obbligatorio e doloroso, in cui i punti di riferimento crollano e bisogna costruirne di nuovi. L’unica cosa che rimane è un sogno. Un sogno che anche quando resta chiuso in un cassetto, anche quando non riesce ad avere voce, può farsi sentire. Ed è proprio sapere che è lì, in attesa per quando si sarà pronti a fargli spazio, che ci fa sentire vivi.
NON È QUESTO CHE SOGNAVO DA BAMBINA
di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio
Garzanti | Narratori Moderni | 288 pagine
ebook €9,99 | cartaceo €16,90 | 26 agosto 2021 | scheda Garzanti
Alla prossima
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