Recensione: Il morso della vipera - Alice Basso

by - novembre 10, 2020

Buongiorno lettori!
Il libro protagonista della recensione di oggi è uscito qualche mese fa ed è infatti un recupero tra gli acquisti estivi; è Il morso della vipera di Alice Basso


IL MORSO DELLA VIPERA 
(#1 Anita Bo)
di Alice Basso
Garzanti | Narratori Moderni | 302 pagine
ebook €9,99 | cartaceo €16,90
2 luglio 2020 | scheda Garzanti

Il suono metallico dei tasti risuona nella stanza. Seduta alla sua scrivania, Anita batte a macchina le storie della popolare rivista Saturnalia : racconti gialli americani, in cui detective dai lunghi cappotti, tra una sparatoria e l'altra, hanno sempre un bicchiere di whisky tra le mani. Nulla di più lontano dal suo mondo. Eppure le pagine di Hammett e Chandler, tradotte dall'affascinante scrittore Sebastiano Satta Ascona, le stanno facendo scoprire il potere delle parole. Anita ha sempre diffidato dei giornali e anche dei libri, che da anni ormai non fanno che compiacere il regime. Ma queste sono storie nuove, diverse, piene di verità. Se Anita si trova ora a fare la dattilografa la colpa è solo la sua. Perché poteva accettare la proposta del suo amato fidanzato Corrado, come avrebbe fatto qualsiasi altra giovane donna del 1935, invece di pronunciare quelle parole totalmente inaspettate: ti sposo ma voglio prima lavorare. E ora si trova con quella macchina da scrivere davanti in compagnia di racconti che però così male non sono, anzi, sembra quasi che le stiano insegnando qualcosa. Forse per questo, quando un'anziana donna viene arrestata perché afferma che un eroe di guerra è in realtà un assassino, Anita è l'unica a crederle. Ma come rendere giustizia a qualcuno in tempi in cui di giusto non c'è niente? Quelli non sono anni in cui dare spazio ad una visione obiettiva della realtà. Il fascismo è in piena espansione. Il cattivo non viene quasi mai sconfitto. Anita deve trovare tutto il coraggio che ha e l'intuizione che le hanno insegnato i suoi amici detective per indagare e scoprire quanto la letteratura possa fare per renderci liberi. Dopo aver creato Vani Sarca, l'autrice torna con una nuova protagonista: combattiva, tenace, acuta, sognatrice. Sullo sfondo di una Torino in cui si sentono i primi afflati del fascismo, una storia in cui i gialli non sono solo libri ma maestri di vita.

Le storie bisogna raccontarle se si vuole che restino vive.

Avevo paura. Eh si, avevo paura di iniziare la nuova serie di Alice Basso. La precedente, con protagonista Vani Sarca, era stata una tale scoperta e una tale compagnia negli anni che temevo il cambiamento (non che di solito i cambiamenti mi siano simpatici, anzi...), temevo di non ritrovarmici, di sentirmi spaesata. Ora che ho conosciuto Anita e la sua storia devo dire di essermi in parte tranquillizzata e in parte no.

Anita Bo è un bella ragazza della Torino del 1935, spigliata e smaliziata. Alla ricerca di un lavoro pur di non doversi sposare subito con Corrado e fare sei figli (SEI), si ritrova a fare la dattilografa per la casa editrice Monné dove viene pubblicata la rivista Saturnalia. Sulle sue pagine prendono vita i gialli americani, accettati dal Regime solo perchè vengono affiancati dalle scialbe storie del commissario Bonomo. A scrivere del virilissimo e patriottico commissario è Sebastiano Satta Ascona. Anita non è proprio la dattilografa dell'anno, ma dopo un'iniziale diffidenza, si trova a collaborare con Sebastiano per denunciare dalle pagine della rivista niente meno che un assassino.

L'inizio non è stato per me dei migliori. Fin dalle prime pagine, infatti, io e Anita non ci siamo prese; con il passare della storia il nostro rapporto un pochino migliora, se non altro perchè il racconto sposta l'attenzione da lei per parlare del giallo e del mondo in cui la ragazza si trova a vivere; tuttavia anche una volta chiuso il libro posso dire che con Anita ci prenderei un caffè ma non ci diventerei mai amica. È un personaggio per me un po' troppo frivolo, fa troppo l'oca con il suo sbattere continuo di ciglia. Ora, che ci faccia o ci sia non lo so, ma è un atteggiamento che non mi piace, ha quella furbizia di fondo lontana dall'essere un pregio. Poi che sia una ragazza di cuore e paladina della giustizia è palese, ma quel suo civettare continuo e l'indignarsi davanti al concetto che la bellezza nella vita non sia tutto non mi sono piaciuti. Anita evolverà nei prossimi romanzi, lo voglio credere e sperare, come voglio credere e sperare che sarà meno civettuola e più convinta dei propri mezzi (non degli occhioni da sbattere davanti al primo essere umano di sesso maschile per ottenere qualcosa). 

Ma passiamo al cuore della storia, il giallo. Il caso non è dei più difficili da risolvere, ma il connubio storia e ambientazione credo sia la vera carta vincente del libro, insieme alla penna di Alice, sempre divertente e ironica, sempre sul filo tra il rivelare e il fregarti. Dietro questo romanzo c'è sicuramente una gran preparazione e un importante studio della Torino e dell'Italia degli anni '30 del '900, si vede in ogni riga. L'autrice, dall'alto del suo Io onnisciente, ci spiega tutto, a volte anche un po' troppo, e dialoga con il lettore per farlo staccare per qualche pagina dalla nostra realtà tecnologica e portarlo in un mondo in cui i nomi dovevano essere italiani e la propaganda fascista era all'apice. Non sempre, infatti, scatta nel lettore moderno il collegamento con la normalità del 1935 e qui entra in gioco lei, Alice, che con qualche giochetto e presa in giro nei confronti della sua protagonista, ci spiega, puntualizza e ci ricorda cosa volesse dire essere una giovane donna in un mondo in cui tutto ruotava intorno all'essere maschi, virili, patriottici e fascisti. 

Mi sono rimasti nel cuore i siparietti con la famiglia Bo, con la madre che cerca in tutti i modi di accasare la sfrenata figlia con il miglior partito del quartiere, Corrado Leone (non i Leone delle pastiglie, ma quelli dell'alimentari) e il padre Ottavio che le spiega che in casa Bo non erano fascisti fascisti, ma ...

... che potevamo fare?

In questa semplice frase sono racchiusi i perchè dell'ascesa di Mussolini, della connivenza che effettivamente c'è stata da parte della popolazione e del perdurare di un Regime che porterà a quello purtroppo ben sappiamo. Che si poteva fare se non accettare l'ascesa di quel governo? Niente. E se ci fosse stato un altro governo? Beh, sarebbe stato uguale. 
È in queste righe che il libro per me ha vinto, in questa normalità di una famiglia qualunque di Torino, agiata ma non ricca, che punta tutto sul figlio maschio arrivato quando non ci si sperava più, ma preoccupata che anche la figlia si costruisca un futuro, una famiglia che non vuole grane, né da destra né da sinistra. 

Per quanto riguarda Anita, invece, direi che il mio giudizio per ora è sospeso, in attesa di ritrovarla nel secondo volume della serie. Dai Anita, fammi ricredere e stupiscimi!

Alla prossima




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